venerdì 6 gennaio 2017

Memento extingui. "Dinosauria" e la letteratura dell'antropocene.

Ciò che tutti, ma proprio tutti, sanno dei dinosauri, è che essi si sono estinti a seguito di un evento catastrofico.
Il fascino che tali esseri esercitano su molti bambini e su non pochi adulti dipende anche da questa peculiare circostanza: la loro storia sul nostro pianeta può dirsi conclusa, temporalmente delimitata, in un modo che, con qualche approssimazione, possiamo dire netto.
E poco importa se le estinzioni di massa sono state diverse e differenti; se il nostro pianeta, oltre che dai più noti dinosauri, e stato percorso da molte altre specie che sono scomparse o si sono evolute. Perché l'improvvisa, spettacolare cesura biologica provocata dal meteorite cretacico ci affascina e ci somiglia, solletica la nostra predilizione per le scelte radicali, quelle con le quali ambiamo a lasciarci ogni cosa alle spalle, ad abbracciare il nostro passato dall'esterno, come altro da noi.
I dinosauri sono dunque una materia dominabile e circoscritta, qualcosa che, con curiosità, pazienza ed esercizio mnemonico possiamo padroneggiare. Il paleontologo, che non può osservarne il comportamento o ascoltarne la voce; che in rare occasioni può vederne i tessuti come apparivano in vita, è percepito più che altro come un tassonomista. Il suo compito è storico: tutte le discipline che deve frequentare per svolgere al meglio i suoi studi vengono infine ricondotte a un esigenza di ordine sistematico, la stessa che distingue un archivio storico da una libreria o biblioteca contemporanea: non vi è differenza tra novità e recupero.
Per questo non mi stupisco se la copertina di Dinosauria, raccolta di racconti edita da Pendragon per la curatela di Lorenzo Crescentini, ha sullo sfondo quella che potrebbe essere la trama di una roccia sedimentaria così come la superficie consumata di una pergamena.



Il volume, nella copertina, nelle illustrazioni di Marzio Mareggia che sanno di antico, ma anche nel titolo arcaizzante, si propone esso stesso come un reperto, una raccolta di testimonianze provenienti dal passato o, meglio, dal presente ad uso del futuro. Perché i racconti ivi contenuti - lo sottolinea il curatore nell'introduzione - parlano sì di dinosauri, ma parlano anche di noi. E se Crescentini raccoglie i sei testi sotto il minimo comune denominatore (un po' sentimentalistico) della "famiglia", io propendo per un'altra lettura complessiva, quella che accomuna la sorte di dinosauri e homo sapiens: entrambi, in quanto specie, hanno una storia evolutiva con un inizio e una fine. Entrambi, i primi per distruttiva casualità i secondi per sconsideratezza e inadeguatezza all'esistenza, sono destinati e votati all'estinzione.



*** Da qui in poi mi sento in dovere di segnalare un monumentale SPOILER ALERT ***



Il racconto che più letteralmente segue questa interpretazione è posto (con deroga all'ordine alfabetico) al centro della raccolta. Si tratta di Tempo d'estinzione, narrazione di Yuri Abietti che segue uno schema classico della letteratura fantascientifica, quello per il quale chi torna indietro nel tempo si trova a provocare l'evento che voleva semplicemente studiare o impedire. Un giornalista viene invitato a redarre un articolo informativo-apologetico su un centro di ricerca, fondato nel Cretaceo per studiare l'estinzione dei dinosauri. L'obiettivo è convincere l'opinione pubblica della bontà e della sicurezza dell'impresa, perché un'associazione contraria ai viaggi nel passato in quanto pericolo per la continuità temporale, sta facendo troppa pubblicità a sfavore. L'associazione approfitta del wormhole aperto per il giornalista per compiere un attentato, che chiuderà il cerchio secondo lo schema a cui si è accennato sopra. Sin dalle prime pagine del racconto il lettore che non sia completamente a digiuno di fantascienza può intuire come andrà a finire, ma ci sarà comunque un effetto sorpresa, un po' gratuito ma interessante, che chiuderà il cerchio più di quanto il lettore possa attendersi. Il più consono a quello che secondo me è lo spirito della raccolta, forse non è il racconto migliore. A rovinarlo un po' è la scarsa credibilità del personaggio principale, il giornalista, che ha la funzione narrativa di giustificare l'infodump. Cialtrone e incompetente a tal punto da non sapersi spiegare come è giunto lì e da aver bisogno di dettagli sui dinosauri che anche i bambini che leggono i libri illustrati potrebbero sapere, non si capisce come il giornalista sia stato scelto per una responsabilità del genere, e il fatto che anche gli altri personaggi lo rilevino è una consolazione solo parziale.

Anche il racconto che chiude la raccolta SETI, di Andrea Viscusi, abbozza un parallelo tra l'estinzione dei dinosauri e quella dell'uomo. La seconda, nel racconto, non avviene, ma uno dei personaggi che nel corso del narrazione si pone oggettivamente dalla parte del torto, la esclude categoricamente, cosa che suona come "le ultime parole famose". La vicenda rimbalza tra un passato di sessantasei milioni di anni fa (in cui una razza aviaria di sauri si sta distruggendo in una guerra mondiale) e il tempo presente o un immediato futuro, in cui un paleontologo, uno pseudoscienziato e l'ex direttrice del programma SETI, ribattezzato "Search for ExtinctTerrestrial Intelligence", discutono sulla possibilità che una specie autoctona terrestre possa, prima dell'uomo, aver costituito una civiltà evoluta, poi scomparsa. Così risponde la donna, nel timore di vanificare il lavoro di una vita: “«Ma non può essere!» tagliò corto lei. «Non può esserci stato qualcosa del genere, in un passato così remoto. L’intelligenza non può scomparire, una volta che si manifesta. Una civilizzazione avrebbe trovato il modo di sopravvivere, come stiamo facendo noi»”. E forse sarà proprio per questa reazione che l'umanità dell'antropocene non sopravviverà a se stessa, per l'incapacità di porre fine al "paradigma antropocentrico".
Viscusi è ottimo narratore, capace di indirizzare la suspance verso la curiosità e non verso il colpo di scena, che sembra evitare accuratamente. La sua fantascienza è del tipo che preferisco, con citazioni della cultura fanta-pop tipo gli OOPArt e gli Annunaki, inseriti come se niente fosse in un racconto per il resto serio.

All'antropocentrismo e alla necessità di attuarlo fino in fondo pare credere Stefano Paparozzi, o almeno quello che sembra il suo alter ego narrativo: Giorgio, genetista o bioingegnere protagonista di Pranzo di Natale. Paparozzi riesce ad imbandire un buon racconto rivoluzionando e attualizzando lo schema non nuovo dei "pranzi di Natale" che mostrano l'evoluzione dei rapporti famigliari o il susseguirsi delle generazioni attraverso il focus sul desco prandiale del 25 dicembre. Lo rivoluziona coraggiosamente e con successo perché riesce a descrivere una situazione dove predominano il dialogo e lo scontro verbale senza inserire neanche una battuta di discorso diretto. Lo attualizza perché i due fratelli protagonisti, Giorgio e sua sorella Martina, animalista-ecologista-biodinamicista, non litigano per questioni di politica-partitica, o di vecchi rancori personali, o per motivi economici, ma per la visione della scienza e della tecnologia. Al centro dell'ultimo pranzo di Natale descritto da Paparozzi, vi è la presentazione da parte di Martina di un pollo arrosto, che forse - lo anticipa anche il nome di Medea che appare come un fulmine a ciel sereno - non è altro che una delle creature ibride uccello-dinosauro, create dal gruppo di ricerca di Giorgio, creature sottratte dai laboratori da un'associazione animalista.
Il difetto del racconto di Paparozzi è che diventa troppo didascalico. Dopo il primo dettagliato resoconto delle opinioni di Giorgio e di Martina, che funge da ottima caratterizzazione dei personaggi, il tono si fa didattico e rispecchia più la retorica di un attivista che la prosa misurata di un narratore.

Di ibridazione e ingegneria genetica scrive anche Davide Camparsi nel suo Sauropatia. La storia racconta di un gruppo di ventenni affetti da sauropatia congenita, che presentano ciascuno dei tratti mutati in direzione di uno dei più famosi dinosauri di sessantacinque milioni di anni fa. Ciascuno di loro ha un nome che, per volontà del direttore del GenART, azienda dalla quale sono sorti, riprende quello della specie d’ibridazione. La trama verte sull'incontro, dopo molti anni, di tutti i giovani sauropatici e del direttore della GenART, che aveva promesso di curarli. La promessa non è stata mantenuta, ma a costituire una nuova promessa per il futuro sarà il figlio di due dei giovani protagonisti, quasi per nulla affetto dalla mutazione dei genitori. Tra i vari racconti della collettanea, Sauropatia è il più equilibrato sulla linea che va dall'estrapolazione fantascientifica (ha idee che mi sembrano buone e, con la giusta sospensione dell'incredulità, appunto, credibili) all'interesse per la caratterizzazione psicologica e umana dei personaggi. A tratti la narrazione è toccante, come quando il giovane Steve incontra la vecchia femmina di dinosauro con cui lui e i suoi amici giocavano da bambini. Camparsi non si risparmia il vezzo - e ciò è apprezzato - di utilizzare in modo consueto alcune immagini o parole di ambito dinosauresco, come quando scrive di "come le cose spesso cambiassero all’improvviso, estinguendo in un lampo tutte le certezze precedenti" e poi "Pensava ad altro. Al passato che tornava sempre".

Negli ultimi due racconti, quello d'apertura - Strappo, di Roberto Bommarito - e Elias Goodwin, l'ultimo cacciatore di dinosauri, di Davide Schito, la componeente intimista ed esistenziale dell'idea di dinosauro ha la meglio su quella fantascientifica ed estrapolativa.
Attraverso una prosa molto audace che richiama un certo realismo magico, Bommarito ci porta a seguire le fantasie cretaciche di Caino, un bambino che vive una situazione familiare difficile ed è marginalizzato dai suoi compagni di scuola. La sua fuga dalla realtà è anche quella del lettore, che viene abilmente messo nella condizione di confrontare le sue illusioni e i suoi autoinganni con quelli del protagonista, reso con una focalizzazione al contempo straniante e avvolgente.
Con Elias Goodwin, invece, assecondiamo malinconicamente le illusioni di un uomo al termine della sua vita. Veterano del Vietnam, in quella sporca guerra Elias ha perso il suo unico amico, appassionato come lui di dinosauri e ossessionato dalla presenza di uno di essi in un canyon nello Stato dello Utah. Persi anche altri membri della sua famiglia, estinta anche la moglie, Elias fa sua l’ossessione per la Bestia, sia per onorare l'amico defunto, sia per evitare l'estinzione egli stesso, assurgendo ad eroica immortalità. Un giorno si sveglia con la certezza e, apparentemente, con le prove di averla uccisa, ma senza ricordarsene. La sua vita, fino a quel momento dedicata all’impresa, perde senso. Elias si perde nei ricordi, e nel racconto si rincorrono paragrafi di memorie e di narrazione in tempo reale. Il racconto, dopo la dipartita del protagonista, si chiude secondo il topos, comune ma efficace, del "e se non fosse tutta una fantasia di un vecchio pazzo?".

Complessivamente, considero Dinosauria un buon volume, adatto non solo a chi è appassionato di antichi mondi scomparsi, ma a chi vive con passione questo difficile, pericoloso, commovente, disturbante, meschino mondo attuale.

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