venerdì 23 ottobre 2015

Libri che colano, libri che volano e altri strani libri

Retrospettiva Stranimondi 2015


Le biblioteche domestiche, tanto più in un periodo come questo in cui si stampano così poche versioni cartacee, dovrebbero essere sempre ordinate: i libri non devono stare troppo stretti o troppo larghi; non devono esserci libri sopra altri libri, o libri dietro o dentro altri libri. Questo perché, ogni tanto, a distanza di anni, si riprende in mano un volume, cogliendolo dalla libreria sovrappensiero come quando si strappa un filo d'erba o una spiga. E allora, in quel momento di grazia, la mano, mossa da una volontà così labile, non deve trovare ostacoli che le impediscano di afferrare il reperto e infondergli linfa per qualche istante. E ogni libro prende vita a modo suo: c'è quello che ti lascia cadere uno scontrino sbiadito; quello che proietta uno di quegli ologrammi che andavano di moda dieci anni fa; quello comprato in bancarella che - non sai se per un mal impresso ex libris o per le pagine segnate da frettolose refezioni di gente ormai deceduta - pare emettere d'un tratto un acre odore. C'è il manuale che studiasti per un esame e il testo che leggesti in quarta elementare. La raccolta che contiene il racconto che vale la raccolta; il romanzo di cui ricordi una singola potente immagine sulla quale però in pochi istanti si impone quella in copertina.

Ma parliamo di questi libri. Cosa mi dicono, dopo tanti anni, questi volumi che mi sono portato a casa dalla prima edizione di Stranimondi?
Mi ricordano che già nel lontano 2015 - facenti fede le date del 10 e 11 ottobre - la fantascienza italiana era vitale e interessante, o meglio,  aveva una nuova occasione per riconoscersi tale, per sapere di valere. Editori, scrittori, studiosi e lettori si erano dati convegno per attestare la loro passione, il loro impegno, la loro fiducia nei confronti di un genere così vasto e bello e pure, allora, così misconosciuto, serrato com'era in una morsa tra la nomea accademica di 'popolare' e la nomea popolare di 'settario'; tra la ritrosia da parte dei grandi editori a chiamare le cose col loro nome e l'ostinazione da parte di alcuni esponenti del fandom a non tollerare corpi estranei nelle loro letture. Molti di questi irriducibili non si sono mai ricreduti: ne ho avuto recente conferma da un infermiere di 'Dimora Stellare', aggredito a colpi di deambulatore brandito al grido "non è fantassienza! non è fantassienza!". Per il resto, sappiamo tutti com'è andata: la fiducia di quei - quanti erano? - seicento partecipanti era ben riposta, il loro ottimismo motivato. Se a riprova di ciò non bastassero i cinque riconoscimenti - attesi e meritatissimi - vinti dalla narrativa italiana agli ultimi premi Hugo e Nebula, si potrebbero citare i diversi grandi nomi della SF internazionale che - sulle orme dell'indimenticato precursore Bruno Argento - hanno scelto di vivere in Italia. E si potrebbe citare Pseudocronia di Margaretti, che, perso due anni or sono il Nebula a causa della spiacevole vicenda dei 'Good Old Gentlemen', è stato ora selezionato per una delle monumentali trasposizioni di Virtual Life Mask. Anche sul piano delle grandi case editrici si è mosso qualcosa: Mondrifà, ad esempio, superati i problemi con l'antitrust, forte delle sua duplice esperienza nel campo, sta puntando molto su fantastico e fantascienza, riguadagnando terreno su quei piccoli editori che hanno eroicamente traghettato il mercato della letteratura di FS agli attuali felici lidi. Certo, sarebbe ingenuo attribuire al successo di Stranimondi quella che, se non fu un'inversione di tendenza, fu una prodigiosa accelerata su un valido percorso già intrapreso. Perché a tale fenomeno contribuirono anche altri fattori, esterni non solo alla fantascienza, ma allo stesso mondo letterario. Ma sarebbe altrettanto riduttivo non leggere nel movimento della fantascienza italiana dalla periferia al centro un riflesso di quella valorizzazione delle periferie (al plurale: geografiche, cronologiche, di genere, mediali) visibile in maniera organica proprio in quella prima edizione del festival. Edizione caratterizzata peraltro da una perfetta organizzazione, da un clima disteso, propositivo, collaborativo; da sorprendenti momenti di agnizione tra persone che si vedevano per la prima volta dopo essersi conosciute sui social network, prima che questi degenerassero nelle loro attuali forme. E se questi sono aspetti, è vero, non del tutto inediti in manifestazioni precedenti né, ovviamente, assenti in incontri successivi, è vero anche che per molti dei partecipanti assunsero il valore e la forza assertiva di un vero e proprio mito fondativo.
Ma ecco che, tra i sei volumi che costituirono il magro bottino di quell'ottobre 2015, afferro d'istinto due libri molto diversi. Rappresentano poli opposti della fantascienza e, in un certo senso, due concezioni diverse di letteratura. Già allora, leggendoli e poi riponendoli sullo scaffale, mi domandavo in che modo avrebbero preso vita nei miei ricordi e mi rispondevo scrivendone delle recensioni, che qui riporto.



Il libro che cola


Mondo9 di Dario Tonani è stato ristampato in agosto sull'Urania Millemondi 72, assieme al suo seguito, Mechardionica. Il corposo volume mondadoriano, magistralmente illustrato da Franco Brambilla, raccoglie per la prima volta le due opere dell'autore milanese, pubblicate rispettivamente nel 2012 e 2013 da Delos.
Mondo 9 - mi riferisco ora solo alla parte del 2012 - è un romanzo che cola, percòla e smòccola qualsiasi tipo di fluido organico o inorganico: sangue, guano, sudore, muco, urina, vomito, qualsiasi tipo di escremento o di poltiglia, olio, pioggia contaminata, acidi, veleni. Non mi stupirei se, tra qualche decennio, sollevando il volume per un angolo del frontespizio, da esso cominciasse a grondare del liquame bruno. L'opera è un fix-up di quattro racconti, un prologo, un epilogo e alcuni intermezzi, uno dei quali è una short story in sé. Le vicende coprono un arco di circa trent'anni e seguono le vite - ma nessuna delle due si può propriamente chiamare tale - del Guardiasabbia Garrasco e della nave Robredo. Ma se, dal punto di vista dei personaggi umani, Mondo9 è un romanzo corale e frammentato - perché la componente antropica cambia di racconto in racconto - esso trova la sua unità nella componente macchinina: la nave Robredo e la sua lotta per un'ambigua forma di sopravvivenza sono al centro di tutti gli episodi. Lotta contro l'ambiente inospitale - ma forse meno alieno per essa che per le scimmie nude -; lotta contro gli esseri umani, che la vorrebbero imbrigliare, ammansire e infine distruggere, ma di cui pure ha bisogno.
C'è da giurarci che su Tonani non fa presa la trappola ontologica della nave di Teseo, della quale si cambiano i pezzi uno dopo l'altro e ci si domanda se sia ancora la stessa nave. Perché su Mondo9 tutto si ricicla e si ricambia: tutto è biologico, fisiologico, “ecologico”, come in ogni planetary romance che si rispetti: nel senso che tutto il vivente è tanto più collegato quanto più l'ambiente rende arduo preservare la continuità della vita. Qualunque materiale che abbia ancora un'ombra di ordine biologico è funzionale a combattere l'entropia della sabbia indistinta. Un po' come accade in Dune: e  l'immagine del cardo mangiaruggine che, sbucando dalla sabbia, fagocita la Robredo è probabilmente debitrice dello Shai Hulud che attacca la mietitrice di spezia.

Il romanzo inizia già con una situazione di sudditanza dell'uomo alla macchina. Sudditanza che si configura inizialmente come economica: è meglio sacrificare vite umane che perdere i costosissimi meccanismi che consentono alle navi di muoversi sulle dune in modo relativamente stabile. Come si è giunti a questa situazione? È difficile non adottare uno sguardo archeologico, quasi di archeologia industriale: Mondo9 forse è stato lasciato a imbarbarirsi da una civiltà interplanetaria civile e evoluta; traspare dal libro un passato neanche troppo lontano in cui le navi erano qualcosa di controllabile dall'uomo; in cui la competenza tecnica e teorica degli esseri umani riusciva a gestire quella che sembra essere un'intelligenza artificiale con programmi definiti e senza sorprese. Ma sin dall'inizio del libro il governo delle navi è qualcosa di misterioso, che vede coinvolti dei tecnici, dei fabbri, ma anche degli avvelenatori, a conferma che la tecnologia comincia a prevalere quando il suo  funzionamento è frammentato, nessuno lo conosce complessivamente ed e quindi descritto in termini di magia e di superstizione. Passata la fase di pieno controllo umano, la tecnologia comincia a evolversi autonomamente. E nell'evolversi a grande velocità - dopotutto è un'intelligenza artificiale e non procede a tentoni, a caso - la specie-nave inizia ad interagire con l'ambiente, a copiare le forme che trova in esso (è il caso degli uccelli perennemente appollaiati su ringhiere e ciminiere), ad utilizzare gli umani come simbionti, in una coevoluzione impari (senza apparenti vantaggi per l'uomo) grazie alla quale la nave sfrutta proprio quelle proprietà che costituiscono l'unicum dell'uomo: il linguaggio e la consapevolezza della morte. In quasi tutto il libro, il racconto in terza persona si alterna ad una forma diaristica, ma anche le riflessioni, gli improperi e le suppliche di questi improvvisati scrittori (che scrivono per sapere di essere vivi e di essere umani) vengono in qualche modo assimilate dalle macchine che le riciclano come materiale verbale per imparare qualcosa del mondo esterno a loro prelcuso, oppure per vomitarle ripetendole così come le hanno lette o udite. E anche la credenza (o la consapevolezza) di un qualcosa dell'umano che sopravvive alla morte fisica viene cooptata in senso fisiologico dalle grandi navi, per cui la popolazione umana si divide in Esterni (vivi e doloranti, un'umanità sofferente) ed Interni (morti, forse un po' meno  sofferenti, ma vero “software” delle macchine: un'umanità infera). Questa pare essere la rivelazione,  a piccole dosi, del libro: alla fine l'uomo, per sopravvivere, ha dovuto farsi macchina nella sua forma vivente e morta (o immortale) e quello che pareva essere l'instaurarsi di uno sfruttamento della  macchina sull'uomo è, come sempre, il giogo dell'uomo sull'uomo, con le macchine come tramite.  Questo riduzionismo dell'uomo alla sua funzione biologica è presente di continuo in alcune immagini di morte e di assimilazione, ma il senso complessivo dell'accostamento dei quattro racconti - dei quali l'ultimo è in qualche modo risolutivo - è qualcosa che il libro secerne nella sua interezza. Ancora una considerazione sul riduzionismo al biologico e sulla sua simbologia: dicevo che ci sono tutti i fluidi. In realtà ne manca uno, forse quello che nel bene o nel male rappresenterebbe la trasmissione della vita, la prospettiva di un futuro dell'uomo come specie. Non ci sono nascite di bambini, non ci sono famiglie se non fratello e sorella, non ci sono storie d'amore o accenni alla sessualità. Difficile stabilire se questa sia una condizione generalizzata su Mondo9 o il particolare focus di Tonani sulla sua creatura. A questa e altre domande spero potrò rispondere dopo aver letto le opere successive.

Mondo9 è un gran bel romanzo, con ottime idee in termini di immaginario, di contenuti e di commistione di generi. Lo suggerisco a chiunque ami la fantascienza, a meno che non sia ornitofobo (sì, lo ammetto, forse lo sono un po') o facilmente impressionabile. Se dovessi definirlo, direi che è un planetary romance distopico con diversi elementi horror-splatter e qualche accenno fantastico/soprannaturale: ma a che servirebbe definirlo? Lo stile è molto visivo, asciutto, cronachistico. Freddo e - hanno fatto notare molti - privo di empatia. E se è vero che è esattamente questa la prospettiva di Mondo9 (che empatia si può provare per esseri che fungono da serventi prima di essere scissi in software e liquidi?) è anche vero che questo limita le opportunità espressive, la possibilità di modificare il tono e la velocità del racconto. Forse qualche variatio avrebbe giovato al romanzo, in particolare nelle parti diaristiche, che avrebbero potuto essere un forte stacco rispetto al corpo del testo.

(Qui la recensione a 'Mechardionica')


Il libro che vola

 


Dimenticami Trovami Sognami (d'ora in poi DTS) di Andrea Viscusi è un libro leggero, quasi impalpabile. A tirarlo fuori dallo scaffale potrebbe levitare, prendere il volo, dissolversi in pulviscolo e lasciarti in mano una lieve scia stellata, come bava di lumaca. In questo senso, la copertina scelta dall'editore (Zona42) - enigmatica, essenziale, dai colori pastello - rispecchia perfettamente il tono di questo romanzo che certamente è di fantascienza, ma che non sarei capace di ascrivere con certezza a un sottogenere. Fantascienza filosofica alla PKD? Fantascienza umanistica alla Sagan? (E penso ovviamente a Contact, col quale noto alcune convergenze nella trama.) O magari inner space opera? (Ho googlato tra virgolette: qualcuno ha pensato prima di me a questa etichetta. Peccato. Ad ogni modo, intendo quella dimensione estrema dell'utopia che è l'epica del genere umano, la sua statura esistenziale e interiore al cospetto della sua fragilità nel tempo, nello spazio, nel possibile.)

Se non fosse traboccante di riferimenti diretti e indiretti al grande canone fantascientifico internazionale (di più ho trovato solo in Avoledo, con quasi una facciata di descrizione di una collezione di autografi...) DTS potrebbe sembrare la svolta SF di un autore del mainstream letterario. E ciò, beninteso, è cosa buona, cosa molto buona: la preminenza del libro sul genere (dell'esemplare sulla specie) mi pare segno di libertà stilistica, di autonomia autoriale. Il libro è scritto bene, il dettato è pulito, sempre comprensibile e non riserva particolari sorprese. A sorprendere sono i contenuti - eterogenei, disparati, eppure presentati in modo organico - e la struttura, che asseconda i contenuti e in ogni momento dimostra un ottimo lavoro di sintesi. È difficile dire di cosa parla il romanzo senza soffermarsi sulla trama. Le tematiche sono quelle esplicitate dal titolo e dalla copertina: la memoria, il sogno, la sostanza di cui è fatta la realtà. Il concreto ha pochissimo spazio nel romanzo di Viscusi e, a partire dalla seconda metà, DTS procede alternando astrazione concettuale e immersione nelle profondità archetipiche. Inutile dire che lo fa in una prospettiva di sintesi, anche qui riuscitissima.
Anche se, come dicevo, non è quasi mai difficile seguire il filo della narrazione, quello di Viscusi è, per alcuni versi, un romanzo sperimentale. Lo è soprattutto nell'utilizzo di generi letterari o, meglio, di forme di comunicazione diverse (la narrazione standard, il dialogo della grande tradizione filosofica, la trascrizione della registrazione di una seduta psicanalitica, il racconto dettagliato di un sogno) e nell'alternarsi di tutte e tre le persone grammaticali nel ruolo di narratore (in particolare l'uso del tu è di grande impatto).

Una trattazione a parte meriterebbero gli aspetti metanarrativi del testo, così significativi per una descrizione della realtà in cui la narrazione condivisa di un evento (anche solo interna al soggetto) può precedere e causare l'evento che descrive e sopravvivere senza creare paradossi a narrazioni alternative, in forme che, non essendo (più) mimetiche rispetto al mondo empirico, sono appunto letteratura finzionale. Come il romanzo di Viscusi. E quando un romanzo, anche a lettura conclusa, riesce a suggerire un modo di lettura e di fruizione di sé stesso, mettendosi per così dire en abyme, il lettore non può che avvertire un brivido lungo la schiena.

L'unico elemento debole, a mio avviso, è la caratterizzazione dei personaggi. Non so se fosse possibile fare diversamente in un romanzo con questo impianto, ma più che a 'qualcuno', i personaggi principali - insomma, lui e lei - sono simili a 'ciascuno', all'everyman del teatro inglese medievale. Diversamente avviene per i personaggi secondari, in particolare per il professor Novembre, in un  certo senso metapersonaggio: personaggio di un personaggio. Ma ho già detto che la metanarrazione richiederebbe spazi più ampi. 

Dimenticami Trovami Sognami è una piccola rivelazione. Uno di quei libri che forse anticipa il pubblico e che di conseguenza è in grado di creare un suo pubblico. Verrebbe da dire 'retroattivamente'. Complimenti a Viscusi e a Zona42.

2 commenti:

  1. Ciao, sono Bianca! :D
    Ci ho messo un po’ ma finalmente ho trovato il tempo di leggere la tua recensione (la possiamo chiamare così, vero?) su Dimenticami Trovami Sognami.
    Già che c’ero mi sono letta anche quella di Mondo9 ma non credo che lo leggerò mai, visto che appartengo alla categoria di quelli “facilmente impressionabili” ;)
    Invece DTS credo che lo andrò a cercare prima possibile, mi hai incuriosita molto: spero che non sia “troppo” sperimentale per me, ma ho buone aspettative!
    Bianca

    P.s. E' normale che non si possa commentare semplicemente mettendo un nick e occorra per forza fare il login con qualche profilo (tipo google) o sono impedita io? :O

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    1. Ciao Bianca! Grazie per il commento :)

      Se ciò che ho scritto, in base a tue preferenze preesistenti ti ha persuaso a leggere DTS e dissuaso dal leggere Mondo9 allora direi proprio che si tratta di una recensione.

      Quanto ai problemi tecnici, avere un blog non significa necessariamente saperlo usare: non ho idea se sia "normale" non poter commentare come ospite, o se devo cambiare qualcosa delle impostazioni per poterlo fare. Però posso dirti che su altri blog ho dovuto loggare col mio profilo per commentare.
      Forse la normalità è una condizione godibile da pochi :P

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