lunedì 15 maggio 2017

Tarare l'odiometro

Qualche giorno fa, a Trieste, è accaduto un fatto oggettivamente odioso. Un tentativo di stupro perpetrato da uno straniero ai danni di una ragazza italiana. L'uomo era iracheno, ma non so se fosse un clandestino, un dublinante, un richiedente asilo, un diniegato, un ricorrente, un rifugiato, un titolare di protezione sussidiara o umanitaria. Ciascuna di queste definizioni indica uno stato giuridico ben definito, e non so quale fosse quello dell'aggressore, ma so che per ognuno di questi stati ci potrebbe essere un modo diverso di rispondere, attraverso politiche mirate e interventi ad hoc, a un fenomeno come la criminalità legata all'immigrazione: fenomeno che non è trascurabile ma neanche diffuso come alcuni pensano, né tantomeno generalizzato; per il quale ci si può legittimamente preoccupare, ma non allarmare, né tantomeno suscitare allarmismi.

Su questo fatto in particolare - sulle cui dinamiche non mi soffermo perché sono ancora tutte da chiarire - così ha commentato la presidente della regione Serracchiani:
La violenza sessuale è un atto odioso e schifoso sempre, ma risulta socialmente e moralmente ancor più inaccettabile quando è compiuto da chi chiede e ottiene accoglienza nel nostro Paese
E ancora:
Sono convinta che l'obbligo dell'accoglienza umanitaria non possa essere disgiunto da un altrettanto obbligatorio senso di giustizia, da esercitare contro chi rompe un patto di accoglienza.

Le sue parole sono state accolte ironicamente come un conversione sulla via di Damasco da parte dei partiti xenofobi e dagli arruffapopoli schiettamente razzisti, mentre sono state duramente contestate da altre forze politiche, che hanno bollato come, appunto, razzista, la presidente della regione.
Lungi da me difendere a spada tratta un'esponente che non mi piace affatto di un partito che mi piace sempre meno. Ma vanno fatti i dovuti distinguo, con alcune piccole considerazioni di insiemistica: non tutto ciò che è discriminatorio è anche sbagliato (se ne può discutere, ma credo che molti ritengano del tutto legittimo non consentire ai minorenni di votare); così come non tutto ciò che è discriminatorio e sbagliato, è razzista (la società in cui viviamo si basa in parte su sperequazioni discriminatorie e sbagliate, ma non hanno a che fare con il razzismo, bensì con un sistema economico di un certo tipo).
Ecco, le dichiarazioni di Serracchiani mi sembrano discriminatorie e sbagliate, ma non razziste: riconosco che la nostra regione (d'accordo, fino a qualche tempo fa, con la nostra città) si è spesa a favore dei diritti dei richiedenti asilo e dei rifugiati, e le dichiarazioni inopportune di Serracchiani non cambiano la cosa.
Se non è razzismo, cosa anima le parole della presidente della regione?

Leggendo il sottotesto, riappare, improvvisamente, inaspettato, un certo concetto di patto sociale. Ovvero l'idea che lo Stato fa qualcosa per te, viene incontro ai tuoi bisogni, ti aiuta se sei in difficoltà, e tu - anzi "e tu, in cambio" - ti comporti bene, da bravo cittadino, rispettando le leggi, dando il tuo contributo alla società a cui per necessità, per vocazione, magari anche solo per qualche tempo, appartieni o tenti di appartenere.
Ecco, rompere questo patto sociale è davvero odioso. L'idea però che sia "più odioso" (Serracchiani dice "più inaccettabile") per i migranti è peculiare e interessante. Devo confessare che, a pelle, emotivamente, io che lavoro con i richiedenti asilo ogni giorno, sento che in qualche modo è "diverso" quando commettono un crimine. Ma invece di creare un filo diretto tra la prima impressione a una dichiarazione pubblica cerco piuttosto di individuare da quale pensiero, magari rimosso, si possa originare tale idea, per accoglierla o rigettarla a ragion veduta. Faccio qualche ipotesi.

1) La differenza può venire dalla sensazione che i cittadini italiani - e forse qualcuno pensa non alla cittadinanza ma ad altre distinzioni, queste sì più odiose - che i cittadini italiani, dicevo, siano, in qualche modo, almeno in parte, esentati dal partecipare alla pace e al bene comune. Dopotutto è un periodo di forte disgregazione sociale, di conflitto, di crisi: sarebbe lecito, per gli italiani, badare solo ai propri interessi egoistici, mentre ci si aspetta che il rifugiato e il richiedente asilo siano tutti dediti a quella comunità che li accoglie a braccia aperte. E magari - da "buon selvaggio" - possano essere germe per una ricostruzione ingenua, dal basso, del senso di comunità "nostro", che è andato perduto. Dopotutto sono così bravi a fare comunità "tra di loro"... Ecco, sciocchezze. Tante e tutte assieme. Tutti devono impegnarsi a vantaggio del bene comune. Non è che per gli italiani lo standard deve essere badare ai fatti propri, al proprio interesse, e se uno ogni pochi fa qualcosa per il bene comune, "la cosa pubblica" gli appunta una medaglia al petto, un certificato di merito, il sigillo trecentesco, la laurea honoris causa. Mentre, viceversa, lo standard per gli stranieri deve essere comportarsi in modo non meno che integerrimo, senza nessuna pubblicità se non quando qualcuno si comporta male. Bene, meglio, se lo fanno. Ma se diventa una scusa per pretendere di meno dagli "autoctoni", è la morte civile. No, non deve essere la rottura del patto sociale a rendere "più inaccettabile" un crimine fatto da un migrante. A meno che nella stipula di questo patto non ci siano condizioni di partenza diverse, ma andiamo al punto 2.

2) La differenza può essere, banalmente, perché "noi li accogliamo". Ora, a prescindere dall'accoglienza eterogenea che si riesce a garantire a queste persone che passano i nostri confini (il trattamento è oggettivamente diverso di regione in regione, di città in città, da operatore sociale a operatore sociale - a Trieste, e non lo dico perché lavoro nel campo, il trattamento è buono), bisogna riflettere sul perché li accogliamo. Se l'accoglienza è dovuta - così come prevede la costituzione - non stiamo facendo un'opera pia, di gratuità caritatevole, ma stiamo preservando il nostro sistema democratico. Per dirla con le recentissime e altisonanti parole di Juncker, stiamo difendendo "l'onore dell'Europa". Bene ha risposto il presidente del consiglio Gentiloni: che non si può delegare a un solo stato la difesa dell'"onore" - leggasi democrazia e stato di diritto - dell'Europa. Ma ci si limiti all'Italia: la costituzione italiana ci dice, nell'articolo 10, che "lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge". La società progettata dalla costituzione italiana - purtroppo soltanto immaginata - non potrebbe tollerare un comportamento diverso: non accogliere chi ha bisogno ci porrebbe già al di fuori da uno stato democratico. Rivendico la tutela del diritto d'asilo come una mia - di cittadino italiano - "libertà democratica" garantita dalla costituzione, in assenza della quale potrei io stesso chiedere asilo in un paese che si dimostrasse meglio disposto.
Ripeto: non si sta discutendo se la criminalità degli stranieri sia grave o non sia grave, accettabile o inaccettabile, perché è evidente che è grave e inaccettabile. Si sta parlando di un paragone tra un crimine perpetrato da un italiano e lo stesso crimine portato in essere da uno straniero. Se si ritiene che il secondo sia più grave perché il responsabile usufruisce o ha usufruito di uno status o di un sistema di accoglienza, si ammette (o si reputa inconsapevolmente), che l'accoglienza non è dovuta, non è "legale", ma è una concessione arbitraria. Se è questo il pensiero all'origine della discriminazione, meglio sarebbe assicurarsi che il diritto venga garantito a chi ha davvero i requisiti per essere tutelato, facendo sì una discriminazione, ma su base individuale, non generalizzata; e al contempo - ma questa idea è mia personale e già politica in senso lato - offrendo percorsi legali di immigrazione (anche meno onerosi per la collettività) a chi non ha le caratteristiche per godere della protezione.

Ho escluso due possibili casistiche: vedo perché sono sbagliate e sento anche che queste idee possono sfiorarmi, ma non sono radicate nella mia visione del problema.
Eppure non sono ancora soddisfatto, perché continuo a sentire, relativamente ai casi di criminalità dei migranti, un'urgenza più pressante. Non avrei saputo dire esattamente perché, fino a ieri, quando ho parlato con due persone accolte nelle strutture dove lavoro.
Il primo, un uomo adulto, mi ha chiesto cosa è successo, gli ho riferito quel che potevo, lui era imbarazzato e triste. Mi ha detto in francese "così fanno del male non solo alla ragazza, ma anche a noi".
Al secondo, un ragazzo che in migliori circostanze di vita sarebbe un brillante studente universitario, ho chiesto perché non uscisse con quel bel pomeriggio di sole, anche solo per fare una passeggiata. Mi ha detto, in un italiano stentato, imparato però con una velocità sorprendente, che non si sente a suo agio, che si sente osservato, che le persone guardano dove va, cosa fa, se guarda le ragazze.
Per questo, forse, l'accaduto è "più odioso". Genera più odio. Per una persona che compie reati di diversa gravità (furti, spaccio, violenze) le altre novantanove vengono colpevolizzate, diventano oggetto di sospetto, di discriminazioni gravi o meno gravi, di pregiudizi e preconcetti, di strumentalizzazioni. Tra queste - e il cerchio si chiude - quelle di Serracchiani, ma anche quelle dei suoi detrattori accaniti.